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Genitori (adottivi) per sempre?

Aggiornamento: 8 mag 2020

Alla constatazione che la condizione adottiva, anche se non determina tutta la vita, rimane tuttavia “sotto traccia” per risalire a galla in alcuni momenti significativi dell’esistenza si affianca un interrogativo speculare: si resta genitori per sempre? Come cambia questo ruolo mano a mano che i figli diventano adulti? Come accompagnarli facendosi gradualmente sempre più “indietro” senza tuttavia lasciarli soli?

Sono interrogativi che tutti i genitori si pongono, perché il processo non è facile neppure quando il debutto dei figli nel mondo adulto avviene all’interno di una cornice sufficientemente sicura, con scelte di vita che non si distanziano troppo dalle aspettative dei genitori. L’ingresso dei figli nell’età adulta costringe infatti i genitori a confrontarsi con un individuo reale spesso molto diverso dai sogni e dalle fantasie riposte su di lui. Li costringe ad abbandonare l’immagine idealizzata di figlio nutrita dai loro sogni e desideri a occhi aperti, immagine che aveva preceduto la sua adozione e accompagnato come un’ombra la sua crescita, e che ora si scontra definitivamente con la nuova immagine di giovane adulto.

I genitori – la madre soprattutto - possono vivere questa perdita come un vero e proprio lutto, accompagnato da un senso di vuoto, da sentimenti depressivi e talvolta da vissuti di tradimento; vissuti tanto più intensi e dolorosi quanto più totalizzante era stato l’investimento della coppia sul ruolo parentale, quanto più il figlio era stato il perno e l’organizzatore del tempo familiare, l’oggetto primario dell’interesse e dei discorsi. In questo caso, infatti, il lutto non riguarderà soltanto la perdita “del proprio bambino”, ma anche di tutto il sistema di vita che ruotava intorno a lui. L’ingresso del figlio nell’età adulta potrà significare per la coppia anche la perdita dell’identità genitoriale con cui per tanti anni si erano definiti in via privilegiata e che ora appare improvvisamente svuotata dalle “dimissioni” di una delle parti.

Si tratta di sentimenti che attraversano tutte le coppie con figli che stanno diventando adulti e che, se elaborati positivamente, si accompagnano al piacere di ritrovare del tempo per sé, di riappropriarsi di se stessi come adulti capaci di fare progetti su di sé e su un futuro in cui non sarà più presente un figlio bisognoso, capaci di provare piacere a vivere senza sentirsi indispensabili per un’altra persona fragile e dipendente.

Le cose si complicano, tuttavia, se la tristezza, la rabbia, la frustrazione, il senso di solitudine che i figli si portano dietro dal passato riemergono rendendo particolarmente difficoltoso l’ingresso nell’età adulta. Amicizie e relazioni affettive a rischio, interruzione degli studi, mancanza di progetti per il futuro, difficoltà ad inserirsi in un’attività lavorativa, allontanamenti da casa o al contrario chiusura in casa, comportamenti antisociali talvolta violenti, identificazione con chi vive ai margini, comportamenti autodistruttivi (consumo di droga e alcol, attacchi al corpo) non sono fenomeni rari negli anni della tarda adolescenza e della prima età adulta di tanti adottati. A volte è la mente che non ce la fa e per un periodo più o meno lungo “deraglia” in un disturbo psichico.

In casi come questi il processo di graduale distanziamento rischia di bloccarsi, con il nucleo familiare che rimane congelato in modalità relazionali distorte, caratterizzate da ripetitive dinamiche conflittuali e/o da uno stato di preoccupazione continua. Come si può, infatti, trasformare il proprio ruolo genitoriale in quello di osservatori fiduciosi e partecipi di un processo che non è più possibile guidare, quando alcuni aspetti di questo processo mettono evidentemente a rischio il benessere attuale e futuro dei figli?

Sono, questi, temi di cui si discute ancora poco fra chi si occupa di adozione. Ci si interroga – ma non da molto - sulle difficoltà di tanti adottati ormai adulti, meno su quelle dei loro genitori.

Anche di questo – in che misura “mantenere” il proprio ruolo di genitore, in che misura invece “lasciar andare” - parleremo nel seminario di Sabato 13 aprile.

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